In un tempo in cui miliardi di persone creano e condividono media digitali e accedono a scenari virtuali, non
possiamo tralasciare, o dare per scontato, che l’umanità sempre più pensa e agisce usando dati e algoritmi,
talvolta anche senza esserne cosciente, delineando, così, una spaccatura senza precedenti nel reale.
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In altre parole ci troviamo, a pieno regime, in quel contesto che Pierre Bourdieu definirebbe di “violenza
simbolica”, dove l’essere umano è costantemente indotto alla produzione e al consumo di immagini e quindi alla
raccolta di dati e algoritmi attraverso qualsiasi sito web, social network o app di messaggistica.
Da queste forze sociali, economiche, politiche e culturali emergono nuove forme espressive, ora di reazione,
ora di circostanza, ora di curiosità verso questo mondo.
Questo fenomeno lo possiamo scorgere nell’arte sia nei mezzi “classici” come pittura e scultura, in cui
troviamo sovente la rielaborazione di immagini, dati e algoritmi presi da internet o sviluppati con appositi
programmi, sia in quella schiera di artisti che lavorano con le tecnologie di neuro-imaging, bio-feedback,
intelligenza artificiale e realtà virtuale in cui l’opera d’arte è il risultato dialettico fra il pensiero
logico computazionale e quello empatico umano.
Gli artisti che ricercano in questa direzione non nutrono l’esclusivo interesse di essere “moderni” e non si
interessano di entrare in quella retorica ipercapitalista del nuovo. Al contrario, sono affascinati dai nuovi
strumenti del tempo e intravedono nell’eccezione, nell’incalcolabilità, nella perdita di controllo e nella non
programmabilità un varco finora inesplorato in grado di scardinare gli automatismi del visibile.
In questo scenario di forze, tensioni e curiosità emerge la ricerca pittorica di Elena Ascari, la quale,
fascinata dall’interferenza fra la realtà, i media digitali e i sistemi computazionali, sente l’esigenza di
perorare le cause dell’invisibile, di ciò che non è possibile esperire in natura ma che si manifesta solo se
l’ordinario viene filtrato dai mezzi tecnologici.
Ascari, consapevole di essere anacronistica se avesse ritratto il paesaggio con gli occhi arcadici di un
Poussin o un Lorrain, o romantici di un Friedrich, o anche “interiori” di un Van Gogh, vede un mondo ai
confini dello schermo, distorto da programmi e software, che le permettono di trasdurre in pittura a olio
immagini di nuvole o fiori trovati in internet.
Quelli che erano fiori e nuvole, con l’intervento di sitemi computazionali, diventano altro, e ne oscilla,
così, il loro senso originario. Così facendo l’esperienza estetica dell’osservatore davanti ai lavori di Elena
Ascari non può soffermarsi solo sulla piacevolezza dello sguardo, anzi, deve farsi partecipe di un cambiamento
epocale del linguaggio dell’arte.
L’arte, che ci piaccia o no, ci sta mostrando come un’altra via sia ancora possibile e ciò che non si è potuto
vedere, ora si può, finalmente, offrire alla vista.